Palermo una città sospesa tra curiosità, miti e leggende
Un week end diverso in giro a Palermo tra miti e leggende.
Palermo è una città che entra nel cuore e non si dimentica mai: per i colori del suo folklore, l’allegria e la bontà del suo cibo, le rinomate bellezze architettoniche. Potremmo girare per ore a Palermo, senza stancarci mai, ma scoprendo sempre nuovi vicoli ed infinite cose da vedere e rivedere. Ma la cosa che piace e affascina di più ogni anno centinaia di turisti e curiosi sono anche l’atmosfera e la dimensione di una città antichissima, sospesa tra personaggi leggendari, curiosità, miti e leggende.
La Madonnina dei centesimi
Passeggiando per il Capo, meta turistica per la sua splendida chiesa dell’Immacolata Concezione, oltre che per il rinomato mercato, notiamo una nicchia sulla facciata della chiesa dei SS. Quaranta Martiri alla Guilla, il cui simbolo sacro è una statuetta della Madonna, donazione di un laboratorio artistico. La Madonnina ha insita una sua specifica particolarità che unisce il “sacro ed il profano”: è stata realizzata fondendo ben 3.000 monete di centesimi di euro. La piccola statua ha preso il posto della corrispettiva effige in plastica. Il messaggio? Sicuramente quello di voler essere uno stimolo ad utilizzare e a vedere il lato utile e “buono” persino del denaro, simbolo materialistico per eccellenza.
La buca della salvezza
Nel cuore della Kalsa, sul fianco della chiesa di Santa Maria degli Angeli, detta la Gancia, si nota una buca. Proprio questa buca è stata protagonista del risorgimento italiano. Nell’aprile del 1860 i patrioti Filippo Patti e Gaspare Bivona, che avevano partecipato al moto rivoluzionario per precedere all’entrata di Garibaldi a Palermo, fallito il tentativo, si trovarono braccati all’interno della sotterranea cripta detta la Gancia. Proprio grazie a questa buca, e alla pietà popolare, Filippo Patti e Gaspare Bivona riuscirono a scappare alle milizie borboniche e mettersi in salvo. I due infatti, rifugiandosi in chiesa e fingendosi morti sotto alcuni cadaveri di altri patrioti, iniziarono a scavare un buco e, una volta realizzato il punto di contatto con l’esterno riuscirono ad uscire e scappare inosservati, grazie soprattutto ad alcune donne che attirarono verso di sé l’attenzione dei gendarmi fingendo una rissa secondo le migliori tradizioni popolari (le sciarre).
Il mistero della Monachella
Il Teatro Massimo Vittorio Emanuele è il più grande edificio lirico d’Europa, la cui costruzione risale al 1875, su di un’area dove precedentemente sorgevano la Chiesa delle Stimmate e il Monastero di San Giuliano. Secondo una antichissima leggenda, la demolizione degli edifici preesistenti causò la profanazione della tomba di una suora, cosa che originò la rabbia dello spirito, per via dell’interruzione del suo sonno eterno. Questo è il famoso spirito della Monachella e sarebbe stato avvistato sul palcoscenico, dietro le quinte e nei sotterranei. Addirittura, si racconta che chi non crede nel fantasma, inciampi in un specifico gradino del teatro, conosciuto come il “gradino della suora“.
La leggenda della Vecchia dell’aceto
Alla fine del XVIII secolo, nel quartiere della Zisa, visse Anna Pantò, morta per impiccagione il 30 luglio 1789 con l’accusa di veneficio e stregoneria. Dagli atti del processo, risulta che il suo nome reale fosse quello di Giovanna Bonanno, un personaggio famosissimo dell’epoca, avvolto tra leggenda e realtà, conosciuta come fattucchiera e nota soprattutto perché vendeva veleno alle donne, che volevano uccidere i propri mariti. La sostanza mortale era un misto di aceto e arsenico. Da qui il soprannome di “vecchia dell’aceto“, perché descritta come una mendicante anziana, di brutto aspetto, il cui unico scopo era guadagnare dalla vendita della tossina.
Il mistero delle scarpe appese
Passeggiando per le vie di Palermo può capitare anche di imbattersi in quella che potremmo pensare come un’opera d’arte moderna, o addirittura come un miraggio: scarpe da tennis, legate a coppia dalle stringhe, lanciate e penzolanti sul filo elettrico dell’illuminazione pubblica, a Piazza San Carlo alla Kalsa, a Ballarò e in via San Raffaele Arcangelo, a Villaggio Santa Rosalia.
Si tratta di un fenomeno importato dagli Stati Uniti, chiamato “shoefiti”, mix fra shoes, scarpe in inglese, e graffiti. Ancora oscuro ed ambiguo il suo significato, con interpretazioni sia positive e sia negative. Poco conta la tipologia o il colore delle calzature prescelte.
Alcuni lo legano alla malavita, attribuendogli il ruolo di segnalatore di luoghi di spaccio nei pressi. Altre, invece, gli danno un senso più esistenziale, come riti di passaggio o di raggiungimento di obiettivi importanti, o il passaggio verso qualcosa di importante.
Quelle scarpe appese ci ricordano comunque che a volte dobbiamo lasciarci sorprendere senza farci troppe domande.
Altri ancora addirittura attribuiscono allo shoefiti una valenza magica, nel senso che le scarpe servirebbero a tenere lontano dal luogo dove queste sono state appese, le energie negative o le entità malvagie.
Rimane aperto il dibattito attorno al reale significato delle “scarpe volanti”aldilà dell’impatto sul decoro urbano.
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